giovedì 16 aprile 2015

La società dell'incertezza

La storia è piena di massacri e omicidi di massa commessi nel nome della "unica e sola" verità (ad essere precisi, l'ultima espressione è un pleonasmo: la verità può essere "unica" oppure falsa; per ricorrere all'idea di verità, è necessario che la falsità di ogni altra convinzione sia implicita, mentre "verità" al plurale una contraddizione in termini). Al contrario è difficile individuare anche un solo esempio di atto di crudeltà perpetrato in nome della pluralità e della tolleranza. Gli intrepidi conquistatori degli infedeli, i cardinali della Santa Inquisizione, i leader delle guerre di religione non eccellevano più di Hitler o Stalin quanto a relativismo o amore del pluralismo. Eppure capita di sentire ancora che "se Dio non esiste, allora tutto è permesso", sebbene la storia insegni che si è verificato proprio l'opposto: se Dio c'è, non c'è crudeltà, anche atroce ed efferata, che non si possa commettere nel Suo nome. Come conseguenza ancor più decisiva, gli uomini che perpetrano tali crudeltà non si riconoscono alcuna responsabilità e quindi non corrono il rischio di essere condannati dalla loro coscienza per le atrocità commesse. Non voglio impegnarmi in una disputa teologica sull'esistenza o sulla non esistenza di Dio. Nel discorso precedente (e, ancora più importante, nell'uso/abuso politico filosofico del suo nome) "Dio" sta per l'idea di "unico e solo", rimanda all'idea del "tu non avrai altro dio all'infuori di me" in tutte le sue possibili interpretazioni e incarnazioni: "Ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer, unico partito, unico verdetto della storia, unica direzione del progresso, unico modo di essere umani, unica ideologia (scientifica), unico vero significato, unica filosofia riconosciuta. In tutti questi esempi, "unico/a" trasmette un solo messaggio: il diritto al monopolio del potere per alcuni, il dovere della totale obbedienza per altri. Proprio nella battaglia contro questa "unicità", l'individuo ha potuto affermarsi come soggetto morale, come soggetto responsabile che prende coscienza della propria responsabilità. La "molteplicità" dice Marquard, "proprio la diversità molteplice rappresenta la possibilità umana della libertà". Marquand usa le affinità etimologiche del tedesco "Zwifel" (dubbio) con "zwei" (due): la presenza di due (o più) convinzioni, che attraverso la loro controversia perdono gran parte della propria forza, permettono all'essere umano "come un Terzo che ride e piange, di emanciparsi dal potere di entrambe". E' vantaggioso per l'uomo, in quanto individuo, "avere molte convinzioni", "avere molte tradizioni e storie e molte anime nel petto", "avere molti dei e molti punti di orientamento".
Essere libero non significa non credere in nulla, ma riporre la propria fiducia in molte cose: troppo numerose per il conforto spirituale di una cieca obbedienza; significa essere consapevole che vi sono troppe credenze e convinzioni egualmente importanti e convincenti perché si possa assumere un atteggiamento sbadato o nichilista di fronte al compito di una scelta responsabile tra di esse. E sapere che nessuna scelta mette al riparo dalla responsabilità delle sue conseguenze. E che perciò scegliere non significa aver risolto il problema della scelta una volta per sempre e neppure il diritto a mettere a riposo la propria coscienza. La voce della coscienza, che è la voce della responsabilità, è percepibile solo nella discordanza di suoni dissonanti. Il consenso e l'unanimità preannunciano la tranquillità del cimitero (la "comunicazione perfetta" di Habermas, che misura la propria perfezione sulla base del consenso e dell'eliminazione del dissenso, è un altro sogno mortale che propone una cura definitiva ai mali della libertà); nel cimitero del consenso universale, la responsabilità, la libertà e l'individuo esalano il loro ultimo respiro. La voce della responsabilità è il primo vagito dell'individuo umano. La sua presenza è il segno della vita individuale. Non necessariamente, però, è indice di una vita felice, se felicità significa l'assenza di preoccupazioni (una definizione di felicità altamente discutibile, anche se molto diffusa). L'accettazione della responsabilità non è un compito facile: non solo perché introduce il tormento della scelta (che comporta sempre una perdita e un guadagno), ma anche perché preannuncia la perenne preoccupazione di avere compiuto un errore.

Zygmunt Bauman da La società dell'incertezza

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