martedì 19 gennaio 2010

Ateismo e senso della vita

"Io credo che la vita non abbia alcun senso. Il trucco nella vita di un’artista, di un intellettuale, cosa che io non sono, di un pensatore, consiste nel capire come poter tirare avanti, consapevoli di questa terribile realtà, quanto priva di senso è la vita, di quanto siamo schiacciati dall’enormità dell’universo, cercando di trovare un piacere, una gioia, una ragione per continuare a vivere. Questo è il gran conseguimento di una vita”

Woody Allen

Non sono del tutto d’accordo con il grande Woody Allen. I credenti pensano di noi proprio questo: la vita per gli atei non ha significato. Al contrario, spesso sono proprio i religiosi che affermano che la vita non abbia senso, illudendo i loro seguaci che possa essere riscattata e promettendo loro felicità eterna dopo la morte. Noi riteniamo questa paura del non-significato, insignificante. Ho la presunzione di credere che questo sia il senso dell’affermazione dataci da Woody Allen: considerare la vita un bene prezioso, ritenerla piena di contenuti reali e degna di essere vissuta fino in fondo.
Un altro luogo comune è inoltre ritenere che noi atei rifiutiamo l’esperienza spirituale. Provare amore, estasi, abbandono, meraviglia sono esperienze che apprezziamo e ricerchiamo di continuo. Il fatto che alcuni cristiani trasformano in meglio la propria vita leggendo la Bibbia e pregando Gesù non prova altro se non che la riflessione su discipline fondate sul rigore e sul rispetto di determinate regole comportamentali, può avere un gran beneficio sul pensiero umano.
L’ateismo non fornisce basi morali è un’altra accusa che le religioni fanno a chi non crede. Se una persona non capisce di per sé il rispetto per gli altri e le normali regole di convivenza civile, non lo capirà leggendo la Bibbia o il Corano. Questi testi, infatti, sono pieni di soprusi e violenze, sia terrene sia divine. Noi atei non fondiamo la nostra moralità dalla religione, decidiamo cosa è giusto ricorrendo a fondamenti morali radicati in noi stessi e rimodellati da millenni di pensieri e riflessioni sulle cause e le possibilità della felicità umana.
Tutti i più alti valori e gli atti più belli sono sempre stati frutto dell’Essere Umano.
La morale è la sensibilità interiore e l’insieme di regole sul comportamento nobile.
La Chiesa sostiene che la legge morale provenga da Dio. In realtà, è sempre stata umana, nient’altro che umana. E' nata proprio dentro di noi.
L’uomo, dall’alba dei tempi, si è dato delle regole per avvicinarsi, e nel migliore dei casi vivere, quei valori che consideriamo fra le più belle conquiste dell’Umanità: giustizia, bontà, verità, libertà, indipendenza, onestà, fratellanza, equilibrio, cultura, appagamento, benessere, rispetto reciproco.
Tendiamo fisiologicamente a distinguere ciò che ci fa bene da ciò che ci fa male. E' questa autodeterminazione morale che ha permesso la nostra sopravvivenza fin dai tempi più antichi.
Un valore si accetta perché è buono non perché lo abbia dato un dio. Non è chi obbedisce, ma colui che sceglie ad essere veramente grande.
L’essere atei è una condizione esistenziale che si assume, si vive in prima persona, si elabora in completa solitudine e si congiunge a una visione del mondo. Questo modo di Esserci non si presenta all’improvviso come fosse una “conversione”. Di solito è il frutto di un processo lungo e doloroso, in cui le verità acquisite inconsapevolmente si scontrano con le verità acquisite con l’esperienza; in cui le parti di un puzzle combaciano e si uniscono in una rappresentazione atea definitiva e irreversibile.

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