sabato 16 ottobre 2010

Il futuro, una tappa da bruciare

Scrive Giacomo Marramao in Potere e secolarizzazione: "il futuro non è più intenzionato e prospettato come finalità, ma come tappa da bruciare: esiste soltanto per essere consumato il più rapidamente possibile e depositato alle spalle del margine pericolosamente minimo lasciato all'esperienza".
Per gli antichi greci, l’uomo per vivere aveva bisogno di una costruzione di senso, necessaria per esorcizzare la paura della morte, ritenuta l’implosione di ogni senso. Questa visione tragica dell’esistenza venne cambiata dal cristianesimo, utilizzando come fine ultimo la vita oltre la morte.
Nell’era contemporanea le speranze ultraterrene, nella maggior parte dei casi, hanno lasciato il passo ad una visione del mondo priva di trascendenza, come se Dio non esistesse, sono venuti a mancare gli ideali, lasciando l’individuo nella costante ricerca di nuove maschere, illusioni e inganni per dare un senso alla sua vita. 
I ragazzi di oggi guardano in faccia l’incertezza del vivere e reagiscono disinteressandosi del futuro, essendo certi di non poter più incidere per cambiare le regole della società, rifiutano di comunicare con gli adulti e negano l’accesso al loro cuore.
Allo stesso tempo sono alla ricerca costante di segnali autorevoli che raramente trovano nei loro genitori o insegnanti, questi ultimi sempre più rassegnati e demotivati.
La società, dal canto suo, dopo averli fatti studiare per anni, al massimo della forza biologica, non li ritiene utili perché privi di pratica ed esperienza e la loro disoccupazione si riempie di vuoto non voluto, affogando nella noia e nel non sapere che fare della loro vita.
Paradossalmente, vogliono apparire euforici, sicuri si sé, pronti a prendersi tutto. Ciò nonostante sono insoddisfatti e alla ricerca costante di un’identità, la loro e non quella imposta dalla moda, dalla televisione e dalla pubblicità. I giovani non si sentono mai sufficientemente se stessi, mai sufficientemente attivi, sono poveri di vita interiore e si fermano di rado ad ascoltarsi.
Si può ritenere fallita l’educazione emotiva che le istituzioni sociali, familiari e soprattutto scolastiche hanno elargito ai giovani d’oggi? Ritengo proprio di si, non si è fatto molto per questi ragazzi nel facilitarli alla conoscenza di sé, nel percepire il cuore come organo che ci fa sentire che cosa è giusto e che cosa non lo è, chi sono e che cosa ci fanno al mondo. Lo psicologo Daniel Goleman dell'Università di Harvard in proposito scrive: "Siccome l'educazione delle emozioni ci porta a quell'empatia che è la capacità di leggere le emozioni degli altri, e siccome senza percezione delle esigenze e della disperazione altrui, non può esserci preoccupazione per gli altri, la radice dell'altruismo sta nell'empatia, che si raggiunge con quell'educazione emotiva che consente a ciascuno di conseguire quegli atteggiamenti morali dei quali i nostri tempi hanno grande bisogno: l'autocontrollo e la compassione!".
Ai giovani d’oggi consiglierei di non bruciare troppo rapidamente quello spazio che c’è tra il desiderio e la sua soddisfazione, perché in quell’intervallo si nutre il desiderio che l’appagamento spegne, mentre rafforzare il desiderio crea l’idealizzazione dell’altro, un linguaggio interiore generato dall’immaginazione. 
Il desiderio è potenzialmente rivoluzionario, spinge il ragazzo a cercare strade diverse da quelle omologanti e conformiste, lo aiuta a trovare sentieri che sente davvero suoi dove potersi riconoscere.
Alla nostra società consiglierei una politica che sappia offrire una nuova visione del mondo o altrimenti la fiducia che non tutto è immodificabile. Il disagio giovanile oggi è culturale più che esistenziale e non è sufficiente l’ottimismo dei mass-media perché il disagio è più profondo di quanto si crede.

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