Il sole era tramontato e gli alberi erano oscuri e ben netti sullo sfondo del cielo che si veniva oscurando. Il fiume ampio e possente era pieno di pace e di silenzio. La luna si mostrava appena sull'orizzonte; saliva fra due grandi alberi, ma non gettava ancora ombre.
Camminavamo sulla riva scoscesa del fiume imboccammo un sentiero che sfiorava i verdi campi di grano. Quel sentiero era un'antichissima strada; molte migliaia di persone v'erano passate, ed era una via ricca di tradizione e di silenzio. Serpeggiava tra campi e manghi, tamarindi e tempietti abbandonati. Si vedevano vasti tratti a giardino e i piselli odorosi profumavano deliziosamente l'aria. Gli uccelli si preparavano per la notte nei loro nidi e un ampio stagno cominciava a specchiare le stelle. La natura non era comunicativa quella sera. Gli alberi se ne stavano alteri, si erano ritirati nel loro silenzio e nel loro buio. Alcuni villici passarono in quei pressi, chiacchierando, sulle loro biciclette, e ancora una volta si ristabilì quel profondo silenzio e ci fu quella pace, che viene quando tutte le cose se ne stanno sole.
Questa solitudine non è doloroso, malinconico abbandono; è la solitudine di essere; è incorrotta, ricca, completa. Quel tamarindo non ha altra esistenza che essere se stesso. Così fatta è questa solitudine. Si è soli come lo è il fuoco, come il fiore, ma non si è consapevoli della purezza e dell'immensità di questa solitudine. L'essere soli non è conseguenza della negazione, del chiudersi in sé. La solitudine è l'affrancamento da ogni motivo, da ogni perseguimento del desiderio, di tutti i fini.
J. Krishnamurti
J. Krishnamurti
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