martedì 12 novembre 2013

Ci vuole un filosofo per curare le idee


Karl Jaspers è stato uno dei più grandi psicopatologi del Novecento, nonché filosofo. Un giorno gli venne chiesto perché, nonostante la fama raggiunta con la sua Psicopatologia generale del 1913 (che segnò il passaggio dalla psichiatria "esplicativa" a quella "comprensiva", che all'indagine sulle "cause" della malattia preferisce quella dei "vissuti" dei pazienti), si fosse poi dedicato alla filosofia. La sua risposta fu che ci sono tematiche come la libertà, la colpa, il dolore, il suicidio, la morte e altre situazioni-limite (Grenzsituation, come lui le chiamava) per le quali, a suo parere, la filosofia aveva più strumenti interpretativi e comprensivi di quanti non ne disponesse la psichiatria.
Può nascere da una risposta come questa la persuasione dell'utilità di un dialogo fecondo, tra la filosofia e la psicologia e di una profonda amicizia tra le due discipline. 
Gli psicologi denunciano un proliferare di forme di consulenza condotte da persone che utilizzano strumenti psicologici senza un'adeguata preparazione accademica, senza essersi mai sottoposti a un'analisi seria in scuole riconosciute, fidandosi solo del proprio presunto intuito psicologico. Escluderei però da questa categoria i consulenti filosofici che vengono preparati seguendo corsi universitari di cinque anni e master biennali con tirocini in scuole, ospedali, carceri e organizzazioni aziendali convenzionate con le università. I consulenti filosofici non si rivolgono a persone con disagi psichici, ma a soggetti che vogliono mettere ordine nella propria vita, riesaminando le proprie idee e la propria visione del mondo, perché, come scrive James Hillman: «Anche le idee si ammalano o, indisturbate, lavorano come dettati ipnotici», che distorcono il giudizio sulla realtà, rendendo difficoltosa, quando non dolorosa la propria vita più del necessario.
I consulenti filosofici non lavorano con strumenti psicologici, ma con quegli insegnamenti sulla saggezza (phrónesis la chiamava Aristotele) o arte del vivere (téchne tou bíou la chiamava Platone) che ricorrono nelle pagine della filosofia da quando è nata a oggi.
Nulla a che fare quindi con operatori improvvisati, nei confronti dei quali occorre la massima severità e denuncia, onde evitare che per risolvere i problemi della propria vita si scelgano quelle scorciatoie che in nessuna professione sono consentite. E sarebbe dannoso che lo fossero in ambito psicologico dove in gioco è la condizione di sofferenza di chi cerca aiuto. Non c'è inimicizia tra chi usa l'una o l'altra professione per dare risposta al disagio delle persone. Purché siano garantite preparazione e competenze.

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