mercoledì 29 agosto 2012

Autoanalisi e psicoterapia


Nella mia autoanalisi ho avuto la fortuna di essere stato guidato, per un po' di tempo, da una brava psicoterapeuta e adesso credo di essere in grado di gestire meglio la sofferenza e la gioia, di dare miglior senso alle esperienze e tollerare la confusione. Il modo in cui sono cambiato mi pare bellissimo, ma la cosa più bella è proprio il mio sentirmi lusingato dal dubbio che permette di destrutturarsi e ristrutturarsi, di assecondare la complessità e il magma della mente. Il mio rapporto con la psicologia però non è sereno né privo di perplessità. Hillman comunica la sua perdita di fiducia nei confronti della psicoanalisi, accusata di trascurare la nostra capacità di "sofferenza sociale" e incrementare l'individualismo e l'egoismo del nostro soffrire. Mi chiedo se non stiamo andando incontro a una deriva terapeutica, che iper-patologizza tutto. Ho come l'impressione che l'uomo stia imparando a capire il suo dolore, ma stia venendo meno la sua capacità creativa. Sospetto che molti cerchino una terapia per gioire e non soffrire, per non avere a che fare con la confusione della mente e con le afflizioni del dubbio, per ristrutturarsi e raggiungere quella solidità che tiene lontana ogni possibile destrutturazione, in una parola che non accetta la vulnerabilità della condizione umana, da cui scaturisce ogni produzione creativa che, con tutta probabilità, non vedrebbe mai la luce se ci si dovesse attenere alle sole regole della ragione.
Il sociologo Frank Furedi nel suo libro Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana (Feltrinelli) scrive che: "L'imperativo terapeutico che si va diffondendo promuove non tanto l'autorealizzazione, quanto l'autolimitazione. Infatti, postulando un sé fragile e debole, implica che per la gestione dell'esistenza sia necessario il continuo ricorso alle conoscenze terapeutiche. È allarmante che tanti cerchino sollievo e conforto in una diagnosi. Si può individuare, nell'istituzionalizzazione di un'etica terapeutica, l'avvio di un regime di controllo sociale. La terapia, infatti, come la cultura più vasta di cui fa parte, insegna a stare al proprio posto. In cambio offre i dubbi benefici della conferma e del riconoscimento".
Nel ricorso alla psicoterapia sotto ogni forma, anche la più bizzarra, c'è il tentativo di omologare gli individui non solo nel loro modo di pensare, come è nei fatti il "pensiero unico", ma anche il loro modo di sentire. In questo caso il potere non avrebbe bisogno né di manganelli né di olio di ricino per esercitare il suo controllo assoluto.

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