domenica 19 gennaio 2014

Conosci te stesso


L’amore iniziale, quello che comincia alimentato dalla passione, come scrive Stendhal, non è cieco, è visionario. Quando l'inaspettato che aspettavamo accade, siamo felici. È la felicità che Freud assimila al delirio, che, rispetto ai deliri patologici, «ha l'unico pregio di essere breve». Infatti, dopo l'incantamento che fa vedere il mondo tutto a colori, incomincia il disincanto che sfuma la felicità in quella zona, non sempre a colori, che è la ripetizione e la quotidianità. La felicità promossa dalla passione è una felicità che dipende dall'altro. È stupenda nella sua fase iniziale, ma non dura. L'idealizzazione che abbiamo fatto dell'altro si stempera e accanto al suo aspetto luminoso, che la nostra idealizzazione aveva creato, compare la sua ombra. Solo se siamo capaci di amare anche la sua ombra, solo in quel momento nasce la felicità che dura.
Poniamo la nostra felicità nelle mani dell'altro. La passione si chiama proprio così perché e un "patire l'altro". In quella condizione non possediamo noi stessi, ma siamo posseduti. E la felicità che ci invade non dipende da noi, ma dall'altro a cui abbiamo consegnato l'anima.
La felicità, quella vera, ci vuole attivi. È una felicità che non ci "capita", ma che dobbiamo "costruire" a partire dal primo insegnamento dell'oracolo di Delfi che dice: «Conosci te stesso». Se evitiamo questa conoscenza, nella vita prendiamo solo abbagli, inseguiamo modelli che non ci corrispondono, perché non sappiamo chi siamo, non conosciamo la nostra virtù, la nostra inclinazione, in termini religiosi, la nostra vocazione, ciò per cui siamo nati. E quindi non realizziamo quello che gli antichi chiamavano il nostro "demone", dalla cui realizzazione scaturisce la felicità, in greco "eu-daimonia", la buona riuscita di sé.
Ma il secondo insegnamento dell'oracolo di Delfi ci dice anche che questa realizzazione deve avvenire «secondo misura», perché dopo la conoscenza di sé è necessaria anche la conoscenza del nostro limite, perché chi ignora il proprio limite, prepara la sua rovina.
Se ci atteniamo a queste due massime, costruiamo la felicità che dura, la quale non esclude la felicità che ci capita, quella innescata dalle passioni, ma la riconosce nei suoi limiti e non fa esclusivo affidamento a ciò che ci accade senza un nostro lavoro. Il lavoro della realizzazione di sé non conosce abbandoni e tradimenti, perché non abbiamo consegnato l'anima per intero a un altro come quando siamo trascinati dalla passione.

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